Amo
le estati della città senza mare,
i
morsi sul collo del sole
e
le ombre dei palazzi
che
ricamano l'asfalto.
Saracinesche
abbassate,
badanti
straniere sugli autobus
che
traducono Italiani,
vecchi
che vanno nei cimiteri
a
misurarsi le tombe,
turisti
che chiedono
informazioni
alle statue,
giocatori
di cavalli
che
aspettano di partire,
assassini
in vestaglia sul balcone
che
ascoltano Beethoven,
l'erba
che rinasce
ovunque
ci sia pace.
Le
ceste di paglia scendevano attaccate ai fili
e
un bambinone tutto contento e bianco
metteva
dentro le pagnotte alzando il capo
verso
le donne come fosse quasi partecipe
del
loro casalingo arredo.
Davanti
al Tabernacolo alcune facevano segni al petto,
sedute
con le mani legate da un rosario,
qualche
silenzio e poi ripartivano tutte insieme
nel
solito versetto chiudendo gli occhi
quando
una più giovane restava indietro
nel
dolcissimo sguardo sui bambini
che correvano dietro ai balzi della palla.
Sotto
la scalinata la fontanella balbettava incerta.
Intorno
un ritrovo di donne girava sulla piazzetta
cercando
riparo nelle ombre delle bancarelle
da
cui gli urlatori rialzati su una scaletta scaricavano
come
un fil di massa le orazioni sediziose.
Il
parapetto del vicolo scendeva lentamente
scoprendo
le terrazze di tufo sul pendio panoramico
della
canicola eterna da cui sgorgava un bitume assai scuro
che
liquidava la luce nel valletto gramigno
ben degno.
Per
conduzione,tra i rovi,le placche della citta antica
son
riparo di vecchi fiori e insetti ubbidienti a quel colore
che
selvaggio spara un palpito di protezione alla solitudine
delle
pietre asservite a rami e paglie.
La
gioia mi veniva incontro sul marciapiede
come
fosse un vischio,quasi umano,trasparente,
un
brivido che dai reni sorgeva al collo
come
l’overture di Silla o un riff di Vivaldi.
La
padrona di casa si mise a cantare,
sul
suo volto un principio d'amore
oltrepassò
il mio sguardo
trafitto
dall’infinita estate.
L'erezione
accelerò
il
rantolo di pazzia
e
la tirai a me come
la
solitudine stringe
il
margine infinito.
Si
sciolsero i capelli neri,
il
bucato precipitò dalle scale.
E
mentre cercavo la sua lingua
il
seno scatenò sul mio petto
la
prima giovinezza di turgido focolare.
Cosi
iniziarono le nostre carni a tremare
baciando
ogni cosa nel silenzio dell’intesa
per
le voci più basse che andavano in ferie.
Finchè
mi sbottonò e nel ventre suo mise
tutto
quel che io potevo dare.
Il
suo e il mio piacere
scivolavano
sul marmo
bianco
esagerato.
Come
al tempo conviene che torni
la
lussuria tra le malte geologiche,
una
bestia sociale che ha memoria
di
coda e ornamento di foia.
LUGLIO
2009
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